Un ricordo che mi illumina
Non mi è davvero difficile ripensare, anche se da quei tempi sono trascorsi più di 30 anni, a quanto Renzo Biasion abbia influito nella mia vita privata e professionale. Mi basta puntare lo sguardo su una parete di casa, interamente firmata dal suo nome, perchè riaffiori una “memoria a due voci” che in questa occasione sono ben lieto di testimoniare.
Bisogna risalire agli anni belli, per me giornalista professionista, della seconda metà del Novecento. Militavo nella redazione del settimanale “Oggi”, dove sarei diventato caposervizio e poi caporedattore. Un direttore meraviglioso, Vittorio Buttafava, che ancora venero nella mia memoria, aveva capito al volo i miei orientamenti professionali e mi aveva destinato alla cura delle pagine culturali raccolte sotto il prestigioso titolo di “Sofà delle Muse”. Era un coacervo di rubriche d’attualità dedicate al cinema, al teatro, alle arti figurative, alla musica nelle sue varie espressioni e alle novità in libreria: settore, quest’ultimo, in cui io pure col tempo avrei inserito la mia firma.
Nelle pagine del “Sofà” che il direttore aveva affidato alle mie cure già da tempo figurava la firma di Renzo Biasion, ovviamente titolare delle cronache d’arte. Non nascondo che i miei primi approcci con i titolari di quelle pagine io li avevo affrontati con inevitabile timidezza. Nel caso di Biasion, però, fu chiarezza limpida di rapporti fin dal primo giorno, quando era venuto a trovarmi in redazione per una conoscenza reciproca a distanza ravvicinata come premessa di dialoghi Milano-Bologna da porre in essere tutte le settimane o quasi.
Ricordo parola per parola quello che subito mi disse. “Vedrai che con me di problemi ne avrai ben pochi”. Vero balsamo, per me, che già avevo compreso di avere intrapreso una strada gratificante ma non priva di insidie. Il problema era che tutti gli autori del “Sofà” ambivano ad apparire con il loro nome tutte le settimane, ed era ambizione legittima, ma c’erano settimane in cui, grazie a quel meraviglioso ingombro che si chiama pubblicità, lo spazio per il “culturale” si rendeva più arduo. E c’era chi protestava e chi no. Fra i primi ricordo l’autore di cronache cinematografiche, che oltre a saperne di cinema era anche parente stretto dell’editore e anche se – bontà sua – mi aveva preso in simpatia, non mancava di ricordarmelo dopo aver riscontrato tagli suoi suoi articoli. Per questo, o meglio anche per questo, qui dichiaro in pubblico la mia riconoscenza a Renzo Biasion. Quando veniva a Milano, per me era una festa. Mi recavo, con lui, a qualche esposizione di prestigio e grazie a lui uscivo sapendo molto di più. Non diluviava con le parole ma diceva quelle giuste, e per questo, anche per questo, posso ricordarlo non solo come un artista ma anche come un amico.
Voglio parlare, adesso, della sua scrittura. In casa non conservo soltanto opere d’arte di sua mano ma anche, e oserei dire soprattutto, una sua opera pittorica fatta di parole. Se qualcuno fra i presenti non ha letto una sua opera scritta dal titolo “Sagapò” farebbe bene a cercarla quanto meno nelle librerie di antiquariato. Perchè lì, ben più che nelle mie parole, c’è Renzo Biasion artista e scrittore. O meglio ancora, scrittore inscindibile dalla sua opera di artista.
“Sagapò”, in lingua greca, vuol dire “Ti amo”. Ma subito voglio estinguere, per chi ancora non abbia avuto il privilegio di quella lettura, il sospetto di romanticismi gratuiti. E’ vero l’esatto contrario. Qui è una Grecia in tempo di guerra. Qui è una guerra vissuta dall’ufficiale Renzo Biasion e trascritta così come soltanto a lui era dato. Perchè è vero che la parola amore serpeggia nelle pagine, perchè è vero che come un brivido in tutte le pagine serpeggia la figura femminile nella voglia più animalesca e nel sogno più privilegiato, ma non una sola riga – e ribadisco una sola – che si abbandoni a quel corporalismo di facile scrittura rintracciabile, purtroppo, anche in autori messi sugli altari del trionfo nel primo dopoguerra.
Perchè questa differenza? Per la scrittura di Renzo Biasion, fedele a se stessa sia quando è parola sia quando è immagine. Non facile trovare una definizione di questa scrittura. Attenzione a non affidarci alla definizione di sapiente semplicità, soggetta a migliaia di equivoci. Qui mi sento di parlare, e sono sicuro di non sbagliarmi, di “un affratellamento culturale fra il dipingere e lo scrivere tradotti in un unico afflato”.
Attingo da una sua pagina, per meglio farmi comprendere, così come potrei attingere da tante altre pagine. Questa reca il numero 177.
“Il vento ora si sentiva, fra le case rade. Case cubiche e basse che giacevano lungo la strada come sassi caduti da un carro. Dai tetti leggermente inclinati e dai bordi della strada, il vento sollevava di nuovo la polvere ributtandola ai bordi della strada e facendola scendere lentamente sui tetti. La collina a sud era gialla. Pareva tremare tutta e dissolversi nell’aria”.
Un esempio fra i tanti, ripeto. Due o tre tocchi di parola scritta come due o tre tocchi di pennello. Un matrimonio ferreo ma non declamato, così come pretendeva il pudore creativo di Renzo Biasion. Un ultimo ricordo, a suggellare una memoria che resta dentro di me. Uno di quei giorni in cui mi faceva la sorpresa di venire a Milano e prendermi sottobraccio per andare in giro in cerca di qualche appuntamento d’arte da non mancare. Ricordo che, parlando ancora sotto l’influenza di alcune sue incisioni, mi era venuta spontanea una frase di per sé del tutto banale: “Ma sai, Renzo, che queste tue opere più le guardo e più mi paiono capolavori?” La sua risposta era stata immediata.
“Resti fra noi: io sono uno dei migliori d’Italia, in questo campo. Vedrai le quotazioni, quando io non ci sarò più”.
Niente, in quegli anni lontani, faceva pensare all’evento, e io me la cavai con una battuta di spirito. “Renzo, non c’è poi tutta questa fretta. Ho già una parete, in casa, che è piena di te”.
Oggi sono costretto a ricordare che l’amico di un tempo, che tanto mi aveva regalato parlandomi da par suo dell’arte figurativa da me sovente trascurata per il mio essere nato e cresciuto in clima di assoluta devozione alla scrittura, ci ha lasciati per sempre. Tuttavia mi auguro che bastino queste parole a dire quale dono culturale sia stato per me la frequentazione di Renzo Biasion, pittore di parole e scrittore di immagini.
Ruggero Leonardi
Già Capo Redattore Cultura di OGGI
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