Testo e presentazione della mostra antologica tenutasi a Torri del Benaco (Verona) organizzata dal Comune nel Giugno 2015
Pensando alla straordinaria eterogeneità del nostro Novecento, fatto di macrofenomeni, certamente, ma anche di carsismi altrettanto importanti per comprenderne realmente la varietà e la complessità, la prima distinzione critica che riconoscerei a Renzo Biasion, che ho succeduto in una rubrica d’arte di un noto settimanale per il quale tutt’ora scrivo, é quella di appartenere alla ristretta, eletta schiera dei pittori scrittori, o letterati, come si sarebbe detto una volta, quando non era d’obbligo che gli artisti avessero un alto livello di alfabetizzazione. La stessa schiera, per capirci, di Carlo Levi, al cui modello, per quanto non poco divergente dal suo, potremmo in fondo rapportare anche quello di Biasion, o, in modo invece più distante, di Toti Scialoja. Parliamo, insomma, non di semplici artisti che hanno alternato la pratica pittorica a quella letteraria, che di quelli ne abbiamo avuti fin troppi, e con discutibile beneficio collettivo, ma dei pochissimi che si sono distinti nelle due discipline in maniera eccellente, grazie anche al fatto, per niente secondario, di averle concepite linguisticamente in modo del tutto autonomo l’una dall’altra.

Inaugurazione dell’antologica 2015 a Torri del Benaco, lago di Garda (VR)
Biasion é quindi un signor pittore che é diventato nel contempo anche un signor scrittore, approfittando di un momento di crisi creativa, o viceversa, a seconda di come più ci aggrada vederla, al punto che gli sarebbe bastato essere uno solo di quei due per meritare abbondantemente il ricordo dei posteri. Il ridicolo é che questa condizione, di evidente superiorità, sia stata penalizzante per Biasion, finendo per farlo considerare un essere di metà guado, né carne, né pesce, quando invece li era entrambi, palesemente. Un torto, per Biasion, vivere in un’epoca e in un paese inesorabilmente votati, secondo Flaiano, alla specializzazione del cretino.

Vittorio Sgarbi, il 5.06.2015 a Torri del Benaco, paragona alcune opere di Biasion a quelle di Matisse ed Utrillo
Del Biasion pittore, comunque, mi si chiede, come se lo scrittore appartenesse, con coerenza rispetto a quanto appena detto, a un mondo attiguo, ma solo parallelo. Ebbene, del pittore subito dico: un talento lampante, indubitabile, fra i più brillanti, in Italia, della sua generazione, che pure, come é noto, non fu per nulla avara di capaci. Fin dai suoi esordi, da trevigiano di nascita e veneziano in pectore, quando Biasion si trova al seguito di Juti Ravenna che lo introduce al culto del francesismo post-impressionista, contraltare del latinismo, politicamente più corretto, di Novecento e Valori Plastici, guardando, quindi, al guaguinismo di Gino Rossi, che a Treviso, terra dell’amico Arturo Martini, sarebbe finito in manicomio, ai chiarismi vagamente utrilleschi di Pio Semeghini, soprattutto all’autobiografismo matissianeggiante, ma non certo dimentico del pittoricismo del Settecento veneto, di Filippo de Pisis, vero nume tutelare degli italici parisards, con Cézanne che viene concepito come un inevitabile punto di approdo, più per obbligo di reverenza che per convinzione, ma che al momento rimane ancora un oggetto lontano, tutto da esplorare.
Di qui, i primi interni di Biasion, destinati a essere soggetti prediletti, per quanto non certo esclusivi, campi pittorici di placidissime battaglie “s’agapò”, adesso ancora brulicanti di energie cromatiche incandescenti, in variegato equilibrio fra toni caldi e freddi, che si condensano sugli oggetti come aloni svaporanti, per certi versi debitrici della lezione di un altro grande veneto precursore, Mario Cavaglieri. Ma Biasion non cavalca la facile classificazione, la militanza di gruppo che traspone sul piano del dibattito artistico le contrapposizioni radicali dell’odiata guerra. Poteva giungere all’astrattismo, nel dopoguerra la tendenza di sicuro più à la page, come naturale conseguenza dell’iniziale percors
o “francese”, e invece vede bene di non cambiare mai fronte, convinto della maggiore difficoltà della strada così intrapresa, a vantaggio, però, di un’accresciuta profondità espressiva. Poteva essere un colorista estremo, e invece recupera il valore ordinante della linea, del contorno delimitante, nella coscienza, finalmente cézanniana, che l’arte sia sempre un processo di natura rigorosamente mentale, una visione applicata al veduto.
Poteva essere un “internista”, uno specializzato nel soggetto caro ai Fauves e ai Nabis, e invece alterna liberamente il chiuso all’aperto, con la serie delle case di periferia, fra Torino, Milano e Bologna, che avrebbero potuto farlo capofila realista, ma che Biasion tratta invece come problemi puramente pittorici, da nature morte, come é stato correttamente detto, in una serratissima dialettica fra linea, colore e materia, emendandole da qualsiasi sentore di fattore umano.

Il figlio Giulio Biasion con Vittorio Sgarbi che ha presentato la mostra
Poteva essere tutto, e in parte lo é stato, ma Biasion si preoccupava di essere soprattutto sé stesso, cercandosi lungo sentieri che disdegnano la ripetitività più pigra, meno che mai quella commercialmente più interessata; così, gli interni si depurano progressivamente degli antichi retaggi matissiani, ancora avvertibili nella bellissima serie di “Sedie, Poltrone e Divani”, nutrita di sapori bolognesi alla Corsi o financo alla Protti, per arricchirsi di una nuova ricercatezza grafica, non necessariamente naturalistica, anzi, quasi presaga dei successivi stilismi pop di uno Gnoli o di un Pozzati, che fa da preambolo alla scoperta, con la serie delle “finestre nere”, di una dimensione metafisica che fino a quel momento pareva ignota, nascosta sotto il fuoco silenzioso di un vitalismo sottile, eppure sempre inestinto, per quanto intimo e raccolto attorno al fascino segreto dell’apparentemente ordinario, aprendosi alla ricerca di un senso “altro”, inizialmente impenetrabile, oltre il limite di ciò con cui conviviamo. Una svolta decisiva, avremmo potuto dire per altri artisti, con tangenze che aprono a discorsi diversi, per esempio alla nuova figurazione di Gianfranco Ferroni.
Ma per Biasion, si mentirebbe: é solo uno degli sbocchi possibili, un indirizzo piuttosto che un altro, senza nessuna pretesa di essere più definitivo di quanto non fossero stati gli altri già battuti. Non é incertezza o insoddisfazione, tutt’altro.
E’ lucida consapevolezza di ciò che l’arte può fare, quando si raggiunge il totale controllo dei propri mezzi.
Vittorio Sgarbi, giugno 2015
Testo e presentazione della mostra antologica a Torri del Benaco (Vr) 2015
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