La casa era in fondo al paese, un po’ isolata dalle altre. Era una delle solite case greche dipinte di bianco, a un solo piano. Davanti c’era un piccolo orto abbandonato, esausto dal sole […]. Sui muri, incise con la punta del coltello, figure oscene in atteggiamenti scomposti e iscrizioni di omaggio alla bellezza di Kétty. Un’iscrizione gigantesca, fatta col carbone, diceva: Kétty Sagapò che vuol dire “amore”. La pioggia l’aveva quasi cancellata. [1]
Così inizia Sagapò, racconto eponimo della raccolta pubblicata da Renzo Biasion nell’ottobre del 1953. Presentato al pubblico come ventiduesimo titolo della collana “I gettoni”, portava questo risvolto di copertina, firmato da Elio Vittorini:
Questo libro potrebbe anche portare per sottotitolo “Cronache della guerra di Grecia”. È ambientato nella Grecia degli anni ‘41-’43 e ha per protagonisti soldati, sergenti e ufficiali dell’esercito ch’era stato incaricato di «rompere le reni» al popolo greco. Ma non ci racconta che in via indiretta, o comunque subordinata, di quello ch’essi facevano ai fini d’un incarico simile. In via diretta ci racconta invece di come accadeva ch’essi si procurassero, di là della realtà artificiosa imposta loro, quel minimo di realtà naturale che sempre un soldato (o chiunque si trovi in un analogo stato di coercizione) cerca di procurarsi per riuscire ad essere ancora un uomo, e ad amare e soffrire umanamente, e avere fierezza d’uomo, umiltà d’uomo, illusioni d’uomo. Non si può dunque dire che Renzo Biasion scriva portato dalla corrente d’un fatto di cui è stato partecipe. Ha interessi che vanno più a fondo, e garantiscono della sua interezza di scrittore, realista ma non d’intenti funzionali […]. Ma, mentre si svolge la campagna contro il sopruso di Peschiera, è anche col piacere di rifare un cenno di solidarietà ai due giornalisti arrestati che pubblichiamo un libro con un titolo e una materia di tal genere.[2]
Renzo Biasion, pittore trevigiano, aveva incominciato a scrivere durante la campagna di Grecia «su un quadernetto unto e bisunto che teneva arrotolato in fondo allo zaino». Questo[4] diario, «scritto man mano che gli avvenimenti si svolgevano», non fu «in alcun modo rimaneggiato»[5] e Biasion si decise a pubblicarlo nel 1948 con il titolo di Tempi bruciati. Dalla materia del diario nacque Sagapò. Il racconto che dà il titolo all’intera raccolta era già apparso nel settembre del 1949 sulla rivista “La Rassegna d’Italia”,[6] mentre gli altri, inediti, erano La Repubblica di Alcozino, Il veliero, Sosta dell’ex soldato, Katina, Intermezzo ateniese, De profundis, La nube, Vita nell’isola e La Botte. Il libro è dedicato agli amici Angelo Guazzoni, Giuseppe Eugenio Luraghi,[8] Sergio Solmi e Vittorio Sereni [10] (la dedica, presente nel “Gettone” e nella riedizione Mondadori del 1975, scomparirà dall’edizione Einaudi del 1991). I racconti sono ambientati sullo sfondo dell’occupazione militare italiana in Grecia e furono scritti – disse Biasion – in un periodo di distacco dall’attività pittorica per liberarsi dall’ossessione della guerra. Che siano ambientati negli anni 1941-1943 è, però, un fatto secondario: non è la guerra a essere protagonista di essi, quanto i paesaggi e le donne della Grecia, di cui il pittore restituisce colori e atmosfera.
Prima della pubblicazione del libro, Biasion incontrò Vittorini una sola volta, a Milano, alla fine di settembre. Vittorini, che aveva ricevuto il manoscritto del libro da Sereni, fece a Biasion «parecchie domande sulla guerra d’Albania, sulla sua permanenza nel Peloponneso, sullo sbarco a Creta e sui due anni passati nell’isola»: ad interessargli non erano tanto gli episodi bellici, quanto i rapporti intrattenuti dai soldati italiani con la popolazione greca.[11] Se, da un lato, questi furono i caratteri originali del libro che Vittorini riconobbe nel suo risvolto, dall’altro, proponendo come sottotitolo «Cronache della guerra di Grecia» e accennando al «sopruso di Peschiera»,[12] egli richiamò l’attenzione su una questione di attualità: l’arresto dei giornalisti Renzo Renzi e Guido Aristarco, accusati di vilipendio delle Forze Armate e rinchiusi nel carcere militare di Peschiera del Garda. Il primo febbraio del 1953 Renzi aveva pubblicato sulla rivista “Cinema Nuovo”, diretta da Aristarco, un articolo, intitolato L’armata s’agapò, nel quale proponeva il soggetto per un film dedicato alle vicende dell’Esercito italiano in Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale:[15] il tono apertamente polemico dell’articolo valse ai due giornalisti una condanna. Presentato fin dal suo esordio come un documento di testimonianza bellica, Sagapò fu relegato ai margini del territorio letterario.
Ma Sagapò non è un libro di guerra, dal momento che essa costituisce soltanto uno sfondo comune a tutti i racconti, limitandosi talvolta ad affiorare in primo piano per rendere drammatiche vicende di cui non diviene mai protagonista. Dell’occupazione della Grecia degli anni 1941-1943 Biasion offre una memoria personale e decisamente poco bellica. La guerra, contingenza imprescindibile, potrebbe quasi essere considerata come l’antefatto dei racconti, senza il quale non sarebbe possibile spiegare la presenza dei soldati italiani in Grecia. Come «un ricordo vago e irreale»,[16] è ridotta nel libro a un solo episodio di combattimento, narrato in De profundis. Altrove diviene poco più che un pretesto narrativo, la cornice all’interno della quale inserire la materia autobiografica dei racconti. L’interesse di Biasion va oltre la guerra: alla vita dei soldati e alle loro abitudini, vecchie o acquisite. Le relazioni che essi intrecciano con la popolazione greca sono sintomatiche di un disagio nei confronti della missione che erano stati chiamati a svolgere. I protagonisti dei racconti non si presentano come conquistatori: coloro che, «pignoli per natura, passavano il tempo a infastidire i soldati per il servizio e l’uniforme, e gl’isolani per l’osservanza ai regolamenti» erano «con imparzialità odiati sia dagli uni che dagli altri»,[17] che insieme formavano «come una famiglia».[18] L’occupazione delle isole dell’Egeo fu per i soldati italiani come una lunga pausa dalla guerra, durante la quale le occasioni che si presentavano loro non potevano essere se non marginali rispetto al conflitto mondiale in corso.
La vita dei soldati a Creta – racconta Biasion – «durava uguale da oltre due anni» e «aveva poco per volta assunto un carattere particolare». Gli ufficiali «alloggiavano nelle case greche, e avevano adornato le loro stanze in vario modo». Tra di loro «si facevano visita» e «mantenevano ciascuno […] piccoli cani da signora»: la loro salute preoccupava più «del servizio e del bollettino di guerra», dal momento che quest’ultima «andava male e se ne attendeva la fine apaticamente». Terminata la stagione delle piogge si faceva a «gara a chi sistemava meglio la tenda, a chi abbelliva di più lo spazio per le adunate», cosicché «non sembrava un esercito di soldati ma di giardinieri». Il tempo trascorreva monotono e sempre uguale e «nessuno pensava più alla guerra». Con «il mare […] sempre uguale, terso, non mai solcato da imbarcazioni» e il cielo vuoto degli aeroplani inglesi, «l’isola pareva dimenticata»: una «piccola oasi nel deserto di un mondo dilaniato, che [i soldati] sentivano, forse inconsciamente, di rifiutare». Biasion, in uno dei racconti, confessa di «ricordare quel periodo della sua vita con vivo piacere e con una leggera punta di nostalgia». Avrebbero tutti voluto fermare il tempo, «non per tutta la vita, certo, ma per un annetto o due sì», poiché «ci si sentiva sempre più staccati, sempre più lontani dalla vita militare e dalla guerra»: di fatto «ci si era dimenticati dell’aeroporto a poca distanza, di Iraclion semidistrutta, dei compagni morti qualche mese prima». La guerra, in Sagapò, passa in secondo piano per lasciare spazio al paesaggio greco, vero protagonista dei racconti, che acquista sfumature diverse secondo l’intensità della luce, del vento, del caldo soffocante, ed è restituito dal pittore Biasion con colori «pastosi, densi, forti». È in questo clima quasi surreale che i soldati italiani, presunte truppe d’occupazione, riescono a instaurare un rapporto di solidarietà con la popolazione greca. La lontananza sia della guerra che della patria, il disagio di essere stati come dimenticati ai margini di un conflitto di cui si attende la fine, qualunque essa sia, li costringono a ricostruirsi una casa in una terra straniera, ricercando in essa una sorta di nuova famiglia, portando con sé vecchie usanze e acquisendone di nuove. Biasion insiste sulla descrizione dei luoghi in cui ambienta i propri racconti con una attenzione ai dettagli grazie alla quale è quasi possibile vedere i colori della terra esaltare quelli delle case, il mare, come uno specchio, riflettere l’umore del cielo e incresparsi per la forza del vento. È un paesaggio orientale quello tratteggiato da Biasion, ricco di suggestioni che scaturiscono dalla sua memoria pittorica (il personaggio della prostituta Katina, ad esempio, è paragonato alle ballerine degli affreschi del palazzo di Knosso), mentre il caldo soffocante confonde il profilo degli oggetti e li fa apparire come in un sogno, sfocati e pallidi.
In questo paesaggio «battuto dal sole» le case sono «dadi bianchi contro al mare violetto», «piccolissime e divertenti come quelle che si mettono nei presepi in cima ai colli». Tra gli anfratti delle rocce il mare appare in «squarci azzurri di una intensità allucinante, come gemme incastonate nel bianco». Sui monti, interrotti dal colore chiaro delle «crete gialle o bianche», gli ulivi sono «come nuvolette grigie scendenti giù per i dorsali», mentre sui «sentieri di terra gialla, cretosa […] il vento entra tra le agavi e trascina via la polvere in gialle nuvole». Il sole, al tramonto, si tramuta «da giallo in rosso e poi in un violetto cupo», mentre il mare «diventa violetto» e «s’incunea tra le case esaltandone il colore di contro al giallo arido delle colline». La luce intensa fa sbiadire i colori, rende il cielo «sfuocato e bianco, quasi che tutto il suo azzurro fosse stato succhiato via dalla violenza del sole», oppure tinge «di un sulfureo rosso uniforme […] tutte le cose […], rendendole immateriali e fantastiche come quelle che illuminano i sogni».[33] Ogni cosa è «immersa in una luce calda e dolce, una luce dorata, densa, voluttuosa»,[34] che è «quella luce dorata dei mari d’oriente».[35] Sul tramonto esiste una annotazione anche nel diario di prigionia, sotto la data del 23 ottobre 1943, alla vigilia della partenza per il campo di Biala Podlaska, in Polonia: «Domani partenza. E un tramonto bellissimo, stasera. Il cielo nessuno ce lo può togliere».[36]
Stagliati contro il paesaggio, sfilano ufficiali, soldati e prostitute: una lunga galleria di ritratti, in cui all’evidenza fisica si aggiunge il giudizio scaturito dallo sguardo ironico dell’autore. Una delle descrizioni più riuscite è quella del sottotenente Caviglione di Intermezzo ateniese:
Giovanissimo, si recava a Creta per la prima volta, e aveva, di quell’isola, un’idea favolosa […]. Era genovese, della città. Basso di statura, con due occhietti furbi, irrequieti, avidi, e delle mani sempre in movimento, ricoperte di peli. Con una bocca larga munita di fortissimi denti. «Buon mangiatore», pensai. Infatti egli mangiava continuamente estraendo la roba da una grande valigia. Ma solo la prima volta, mi parve a malincuore, spartì con me un pezzo del suo dolce. [37]
Talvolta, però, l’assenza di un approfondimento psicologico rischia di non riuscire a giustificare appieno alcuni personaggi. Non è possibile, ad esempio, dedurre come possa Katina, «apatica meretrice» dal «volto di idolo pagano», innamorarsi di un giovane soldato «dalle delicatezze quasi femminili».[38]Dei molti ritratti femminili del libro il suo rimane, comunque, il più bello:
Di carattere chiuso, in apparenza docile e remissivo, ma in realtà orgoglioso e caparbio […], un po’ indolente, ella era sempre pronta a eseguire gli ordini della Lupa con la più apatica indifferenza […]. Il logoro vestito, un abito smesso dalla Lupa, di color rosso, con una semplice cintura di corda alla vita, non riusciva a nascondere un’avvenenza che si faceva di giorno in giorno più provocante e lasciva, senza che ella facesse nulla per metterla in risalto […]. Al suo passaggio sembrava che l’aria si facesse vischiosa, sì da costringere gli uomini a seguirla.[39]
Del personaggio della Lupa, mezzana spregiudicata che porta per nomignolo il concentrato di una descrizione, Biasion parla anche nel diario: «era una donna come la lupa di Verga».[40]Le donne non sono se non l’altra faccia di una realtà di desolazione da cui si cerca di fuggire e di questa evasione sono strumento privilegiato. Come il paesaggio, dal quale sembrano emergere, esse possono anche condurre alla follia i soldati, già deboli per vedersi costretti a combattere una guerra di cui loro stessi ignorano le ragioni politiche e militari.
Lo sguardo di Biasion si ferma su ogni personaggio che prende parte alle vicende narrate, anche solo per poco (si veda la brevissima descrizione del giovane servitore delle tre prostitute di Sagapò: un «ragazzetto di non più di dodici anni, pallido»),[41] nella convinzione che «il lettore dovrebbe vedere e sentire quel che vedono e sentono i personaggi».[42] L’autore descrive luoghi e persone che sembrano uscire dai molti disegni eseguiti in Grecia durante la guerra e andati in gran parte dispersi dopo l’8 settembre 1943. Un ritratto non solo letterario, ad esempio, è quello del soldato Pasquale, soprannominato «Pagnotta» per «la sua faccia tonda e rossa»,[43] del quale si dice che aveva adorato un ufficiale che sapeva disegnare e che s’era divertito a ritrarlo. Era stato per due ore immobile, sopportando le mosche che gli scendevano dalla fronte al naso, con una mano chiusa a pugno e appoggiata sulla coscia, il gomito all’infuori, e l’altra mano abbandonata inerte lungo il fianco.[44]
Questo disegno, purtroppo, non sopravvive. Si ha l’impressione che la parola scritta sostituisca la pittura nella ricostruzione di una memoria che non si vuole perdere, ma che non è più possibile riprodurre nella sua verità oggettiva. La narrazione di Biasion procede per immagini: l’intreccio non è tanto importante in sé, quanto come pretesto per la descrizione di luoghi e persone, che non a caso sono gli unici elementi a rimanere vividi nella mente del lettore. Biasion, insomma, si comporta da pittore anche quando scrive. Il suo sguardo sugli avvenimenti di cui è stato testimone è quello di un artista che tenti di riprodurre in una serie di disegni gli episodi che per tre anni hanno occupato la sua vita. Alla luce di ciò sembra quasi scontato che Sagapò sia composto da racconti e non sia un romanzo: non sarebbe stato possibile narrare un’unica, lunga vicenda senza perdere di vista i dettagli, i particolari, che costituiscono il centro di tutte le storie narrate. Si ha l’impressione che ogni racconto sia come un quadro e soprattutto che lo siano i racconti più brevi, intermezzi lirici in cui la natura essenzialmente pittorica della scrittura di Biasion si esprime al meglio. Di uno di essi, Il veliero, esiste anche un disegno (donato da Biasion alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia nel 1989),[45] che risale al periodo compreso tra il 1942 e il 1943 ed è stato eseguito a inchiostro su un cartoncino. Narra Biasion che un «pomeriggio si recò, come ogni giorno, sulla spiaggia», portando «con sé penna a carta per disegnare il veliero», che, «bianco di sole, era diventato quasi immateriale».[46] Probabilmente si trovava allora al comando del presidio militare di Kalò Koriò, in provincia di Aghios Nikolaos, e lungo questo tratto di costa avrà avuto modo di eseguire il disegno.
Biasion, dunque, descrive, ma non giudica. Sagapò non è un libro di denuncia contro la guerra, ma un resoconto di eventi vissuti in prima persona e narrati senza che l’autore esprima su di essi un giudizio: le ragioni politiche e militari del conflitto italo-greco non sono indagate. A questo proposito, bisogna notare come la datazione dei fatti narrati sia taciuta, anche se noi sappiamo essere quella degli anni 1941-1943, cioè gli anni dell’occupazione militare italiana in Grecia. Biasion mostra la propria verità, rifuggendo sempre dal mero cronachismo, e chiede che essa sia osservata in prima istanza come una creazione artistica. È al lettore che viene demandato il compito di rendere esplicito il giudizio.
Mentre era in corso la stampa del libro (il contratto era stato firmato nel mese di marzo),[47] l’arresto dei giornalisti Renzo Renzi e Guido Aristarco fece dubitare dell’opportunità di pubblicare il libro. Il titolo, infatti, rischiava di sviare i lettori, che si sarebbero aspettati «un libro di cruda critica e denuncia» e non ne avrebbero «gustato le qualità poetiche». Già[48] Vittorio Sereni, che aveva corretto le bozze del libro, aveva consigliato a Biasion di cambiarlo, per evitare che fosse imputato a un plagio.[49] Questi, però, voleva «sfruttare il momento buono e non tardar molto a pubblicare il libro», confidando nel fatto che «la gente che capisce avrebbe gustato lo stesso le qualità del libro e gli altri […] sarebbero potuti servire per rimpolpare un po’ le sue scarsissime finanze».[50] La Casa editrice, dunque, decise «di pubblicare il Biasion immediatamente»[51] e il volume apparve nelle librerie il 10 ottobre, due giorni dopo la proclamazione della sentenza di condanna contro Renzi e Aristarco. Nel risvolto di copertina era scritto che il racconto Sagapò era già stato pubblicato nel 1949 su “La Rassegna d’Italia”. Furono queste circostanze, insieme al sottotitolo “Cronache della guerra di Grecia”, suggerito da Vittorini, a rendere possibile l’equivoco politico-letterario che pesò sulla successiva fortuna del libro. Il suo vero significato è da ricercarsi nel titolo, non nella materia. «Sagapò» era una popolare canzonetta greca «che parlava di un nostalgico amore»[52] e “Armata Sagapò” il modo in cui Radio Londra, durante la guerra, indicava le nostre truppe di occupazione in Grecia. Ma per Biasion era soprattutto il nomignolo di una prostituta greca, in omaggio alla cui bellezza, sul muro della casa che fungeva da postribolo, «un’iscrizione gigantesca, fatta col carbone, diceva: Kétty Sagapò che vuol dire “amore”».[53]
Sagapò ebbe un grande successo di pubblico e raggiunse nel 1954 la seconda edizione con diecimila copie vendute. I soli “Gettoni” che lo superarono furono Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese e Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, giunti entrambi alla quinta edizione con una tiratura complessiva di ventimila copie ciascuno.[54] Fu subito tradotto in Grecia, nel 1954, e in Francia, mentre le edizioni inglese e americana apparvero nel 1967. Nonostante il successo ottenuto, nel 1974 Biasion ritenne scaduto il contratto stipulato per Sagapò. Il libro, infatti, non era più stato ristampato e il suo autore desiderava pubblicarlo nell’edizione economica degli “Oscar” di Mondadori.[55] La Casa editrice avrebbe voluto che Biasion lasciasse Sagapò nel catalogo einaudiano, per il suo «indubbio valore letterario» e per il «forte significato morale e politico» che continuava ad avere.[56] Ma egli non voleva rinunciare alla possibilità «di raggiungere […] un più largo strato di pubblico»:[57] l’edizione Mondadori uscì nel 1975.
Dopo la pubblicazione del racconto Sagapò sulla “Rassegna d’Italia”, un gruppo di produttori ne aveva acquistato i diritti per trasformarlo in un soggetto cinematografico e nella primavera del 1952 parve certo che il regista sarebbe stato Roberto Rossellini.[58] Il progetto, però, non venne mai condotto a termine e nel novembre del 1961 ne troviamo ancora traccia in una lettera di Biasion a Sergio Solmi: Anna Magnani, che avrebbe dovuto esserne la protagonista, aveva acquistato i diritti di riduzione cinematografica di Sagapò all’inizio dell’anno.[59] Biasion avrebbe voluto allestire una nuova edizione del proprio libro «in modo che fosse pronta al momento del “battage” pubblicitario del film»,[60] ma la Casa editrice pensava di preparare «per l’occasione […] un rilancio, la fascetta ecc.», poiché del libro «restavano ancora più di mille copie», ritenute «sufficienti per far fronte alle richieste».[61] Dello stesso progetto Biasion aveva informato Giuseppe E. Luraghi in una lettera del 4 febbraio 1962.[62] Campagna pubblicitaria e lavorazione avrebbero dovuto incominciare ai primi di settembre dell’anno successivo,[63] ma anche questo progetto non fu mai condotto a termine e la questione era ancora aperta nel 1971.[64]Per un parziale riscatto di queste vicende si dovrà attendere l’anno 1991 e il film Mediterraneo, diretto da Gabriele Salvatores. Vincenzo Monteleone, soggettista e sceneggiatore del film, costruì le vicende di un manipolo di soldati costretti su una piccola isola dell’Egeo ispirandosi proprio ai racconti di Sagapò. Altri progetti per soggetti cinematografici intitolati L’armata s’agapò erano stati sviluppati indipendentemente dal racconto di Biasion, basandosi sull’esperienza personale dei loro autori, ma non ebbero ugualmente seguito. Il caso del soggetto cinematografico di Renzo Renzi fu addirittura clamoroso.
Come già anticipato, il primo febbraio del 1953 egli aveva pubblicato sulla rivista “Cinema Nuovo”, quindicinale diretto da Guido Aristarco, un articolo dal titolo L’armata s’agapò, nel quale proponeva il soggetto per un film dedicato alle vicende dell’Esercito italiano in Grecia durante la guerra. Sette mesi più tardi, il 10 settembre 1953, Renzi e Aristarco furono arrestati e condotti nel carcere militare di Peschiera del Garda con l’accusa di vilipendio delle forze armate. I quotidiani nazionali protestarono per la violazione della libertà di stampa e per l’arbitrarietà e l’illegalità dell’arresto, compiuto contro il buon senso e contro i principi costituzionali. Poiché il reato di oltraggio alle Forze armate, di per sé opinabile, era stato commesso durante l’esercizio della loro attività professionale, i due giornalisti avrebbero dovuto essere giudicati da un tribunale civile. Entrambi, però, erano militari in congedo non assoluto (sottotenente Renzi, sergente di fanteria Aristarco) e il Tribunale militare avocò il processo, che, iniziato il 5 ottobre presso il Tribunale militare di Milano, si concluse dopo quattro giorni: Renzi fu condannato a sette mesi e tre giorni di carcere e alla rimozione del grado; Aristarco a sei mesi di reclusione. Entrambi beneficiarono della condizionale.[65]
Biasion e il suo Sagapò furono parzialmente coinvolti nella discussione suscitata dalla pubblicazione del soggetto cinematografico di Renzi. La materia dei loro scritti è la stessa: entrambi combatterono la medesima guerra sulle montagne d’Albania, poi in Grecia parteciparono all’occupazione (Renzi dislocato nel Peloponneso, Biasion nelle isole dell’Egeo). Ma al di là della giustezza e della legittimità dell’accusa mossa a Renzi e del conseguente processo militare, conclusosi, per altro, con una condanna, bisogna chiedersi che cosa differenzi lo scritto di Renzi rispetto ai racconti di Biasion.
Le analogie tra la proposta per il film e i racconti si limitano alla presenza di episodi affini, quali possono essere la presenza di prostitute tra le file dell’esercito italiano e l’estraneità alla guerra da parte dei nostri soldati. Del tutto diverso, invece, è lo spirito, lo scopo per cui questi episodi sono narrati. Renzi pensando a «un film proibito», intendeva proporre «un esame di coscienza, una condanna della guerra e insieme un atto di fratellanza verso un popolo come quello greco», nei confronti del quale gli italiani hanno «molti debiti».[66] Egli si pone, dunque, in una posizione apertamente polemica contro la guerra e contro coloro che la guerra avevano voluto. In Biasion non c’è nulla di tutto questo. Il suo interesse è riprodurre le immagini che ha fatto proprie durante la permanenza in Grecia, focalizzando l’attenzione sui dettagli della realtà che lo circonda. Si può in una certa misura affermare che egli proponga un resoconto obiettivo della propria guerra: ciò che essa è stata per lui e per gli altri italiani stanziati nelle isole dell’Egeo, osservata con disincanto e una punta di nostalgia. Egli mira a dare una rappresentazione artistica della vicenda di cui è stato partecipe attraverso una forma espressiva, che non è la sua consueta, ma non per questo gli è meno congeniale. Il doloroso passato personale e collettivo di cui Biasion è stato partecipe viene reso innocuo e, pertanto, accettabile dal filtro sublimante dell’arte.
I racconti di Sagapò non sono una denuncia della guerra, ma uno sfogo quasi lirico con cui l’autore rielabora un’esperienza che, seppur a tratti felice, è stata pur sempre di morte. Nessun atto di condanna: Biasion è stato testimone di avvenimenti di cui non intende ricercare le cause. Il suo sguardo sul mondo rimane, anche quando scrive, lo sguardo di un pittore, attento al dettaglio, al colore, all’episodio che può essere catturato in un ritratto, in un’immagine:
Era bello vedere dall’alto il mare farsi sempre più oscuro e la punta del promontorio allungarsi via via, e diventare di un delicato rosa, come una lunga coscia affondata nell’acqua. E il sole immenso e rotondo schiacciarsi a poco a poco contro l’orizzonte come se qualcuno lo premesse di sopra con le mani, e tramutarsi da giallo in rosso e poi in un violetto cupo che permaneva nell’aria anche dopo la sua scomparsa.
Silvia Cavalli
L’amore ai tempi della guerra di Grecia: Sagapò di Renzo Biasion
in Casi editoriali in 75 anni di Einaudi
con illustrazioni e documenti, a cura di Roberto Cicala e Velania La Mendola,
presentazione di Carlo Carena, EDUCatt, Milano 2009, pp. 247-257.
Note: [1] R. Biasion, Sagapò, Einaudi, Torino 1953, p. 49. [2] E. Vittorini, I risvolti dei “Gettoni”, a cura di C. De Michelis, Scheiwiller, Milano 1988, pp. 68-69; ora in La storia dei “Gettoni” di Elio Vittorini, a cura di V. Camerano, R. Crovi, G. Grasso, in collaborazione con A. Tosone, introduzione e note di G. Lupo, Aragno, Torino 2007, p. 735. [4] R. Biasion, Sagapò, p. 120. [5] R. Biasion, Tempi bruciati, con illustrazioni dell’autore, Edizioni della Meridiana, Milano 1948, p. 7. [6] R. Biasion, Sagapò, in “La Rassegna d’Italia”, IV, (1949), 9, pp. 879-898. [8] Giuseppe Eugenio Luraghi (1905-1991), manager, editore e scrittore, fu a capo, tra le altre, delle aziende Pirelli, Alfa Romeo e Mondadori. Con i fratelli Guazzoni fondò nel 1947 le Edizioni della Meridiana, per i cui tipi apparve nel 1948 il diario di prigionia di Biasion, Tempi bruciati. Alla collana collaboravano anche Sergio Solmi e Vittorio Sereni.
[10] Alcuni versi di Vittorio Sereni sono posti in epigrafe a uno dei racconti di Sagapò. Biasion scrisse in proposito a Calvino: «Scorrendo le bozze troverai alcuni versi di Sereni; avrei piacere che fossero messi in testa al racconto Vita nell’isola, anziché, come mi pare siano ora, in testa al Veliero» (Renzo Biasion a Italo Calvino, Torri del Benaco, 25 settembre 1953, in La storia dei “Gettoni”…, p. 732). I versi di Sereni sono tratti da La ragazza d’Atene e saranno effettivamente «messi in testa» a Vita nell’isola: «Kaidari / una conca dolceamara d’ulivi / nel mio pigro rammentare – o quelle / navi perplesse al vento del Pireo» (V. Sereni, Diario d’Algeria [1947], in Id., Poesie, ed. critica a cura di D. Isella, Mondadori, Milano 1995, pp.65-66). [11] Testimonianza di Renzo Biasion del giugno 1983, in La storia dei “Gettoni” …, p. 740. [12] E. Vittorini, I risvolti dei “Gettoni”, p. 69; ora in La storia dei “Gettoni”…, p. 735. [15] R. Renzi, L’armata s’agapò, in “Cinema Nuovo”, II (1953), 4, pp. 73-75. [16] R. Biasion, Sagapò, p. 30. [17] R. Biasion, Tempi bruciati, p. 29. [18] R. Biasion, Sagapò, p. 51. [19] Nota autobiografica allegata alla lettera di Renzo Biasion a Elio Vittorini, Torri del Benaco, 23 settembre 1953, in La storia dei “Gettoni”…, p. 731. [20] R. Biasion, Sagapò, p. 159. [46] R. Biasion, Sagapò, p. 44.
[47] La Casa editrice a Renzo Biasion, Torino, 24 marzo 1953, dattiloscritta (Archivio Einaudi, Corrispondenze autori e collaboratori italiani, cart. 22, fasc. Biasion). [48] Italo Calvino a Renzo Biasion, Torino, 21 settembre 1953, in La storia dei “Gettoni”…, p. 730. [48] Renzo Biasion a Italo Calvino, Torri del Benaco, 14 settembre 1953, in La storia dei “Gettoni”…, p. 729. [49] Renzo Biasion a Italo Calvino, Torri del Benaco, 25 settembre 1953, in La storia dei “Gettoni”…, p. 731.
[51] Italo Calvino a Elio Vittorini, Torino, 25 settembre 1953, dattiloscritta (AE, Corrispondenze autori e collaboratori italiani, cart. 221, fasc. Vittorini). [52] R. Biasion, Sagapò, p. 75. [54] Cfr. M. Romano, I “Gettoni” di Einaudi, in “Charta”, XIII (2004), 4, p. 27. [55] Renzo Biasion alla Direzione della Casa editrice, Bologna, 10 maggio 1974, dattiloscritta (AE, Corrispondenze autori e collaboratori italiani, cart. 22, fasc. Biasion). [56] Guido Davico Bonino a Renzo Biasion, Torino, 22 maggio 1974, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion). [57] Renzo Biasion a Guido Davico Bonino, Bologna, 14 giugno 1974, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion). [58] Anonimo, «S’agapò», in “Tempo”, XV (1953), 40, p. 38. [59] Renzo Biasion alla Casa editrice, Bologna, 27 gennaio 1961, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion). [60] Renzo Biasion a Renato Solmi, Bologna, 24 novembre 1961, in La storia dei “Gettoni”, p. 740. [61] Gigi Livio a Renzo Biasion, Torino, 30 maggio 1962, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion).
[62] Lettera conservata nell’Archivio Luraghi. Cfr. G. Nuvolone, Renzo Biasion, «Tempi bruciati» (1948), in Un manager fra le lettere e le arti: Giuseppe Eugenio Luraghi e le Edizioni della Meridiana, a cura di R. Cremante e C. Martignoni, Electa, Milano 2005, pp. 114-115. [63] Renzo Biasion a Gigi Livio, Bologna, 6 giugno 1962, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion). [64] Paolo Fossati a Renzo Biasion, Torino, 6 luglio 1971, dattiloscritta (AE, cart. 22, fasc. Biasion) e delega di Biasion per il ritiro della copia del contratto, Bologna, 20 novembre 1973 (AE, cart. 22, fasc. Biasion). [65] Per la vicenda del processo a Renzi e Aristarco cfr. Il processo S’agapò. Dall’Arcadia a Peschiera, con la collaborazione di P. Calamandrei, R. Renzi, G. Aristarco, Laterza, Bari 1954. [66] R. Renzi, L’armata s’agapò, p. 73 (il corsivo è nel testo). [67] R. Biasion, Sagapò, p. 33.
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